Proviamo a dare un’occhiata al movimento Lemania 5100, montato da diverse maison nei propri orologi. In questo caso abbiamo un Omega (1045), ma la sostanza è la medesima.
Lasciamo perdere caratteristiche e forme della cassa, lo scopo è unicamente quello di visualizzare il movimento:
Qui il movimento capovolto:
Dopo avere smontato sfere e quadrante:
Entriamo nel dettaglio e dedichiamoci allo smontaggio del disco dei giorni:
Il disco è tenuto in sede da una placca, (evidenziata in rosa) a vaghissima forma di ferro di cavallo, che rimane in sede ad incastro in quei due piccoli perni sulla platina (frecce) sfruttando la propria elasticità, data dalla forma.
Per la rimozione è stata praticata una sezione che permette l’inserimento di uno strumento, o di un cacciavite.
Se confrontiamo questo sistema con i sistemi di fissaggio classici che troviamo in altri movimenti, la prima cosa che balza agli occhi è la mancanza di viti.
Questo si traduce in una minore necessità di lavorazioni, numero di pezzi e rispetto di tolleranze in fase di produzione, e in minore tempo impiegato per rimozione e applicazione in fase di assemblaggio e/o riparazione.
Ma si traduce anche in una minore precisione nello scorrimento del disco data, e in qualche problema di tenuta della placca stessa in conseguenza di ripetute rimozioni e applicazioni (tralasciamo il problema dato dalla possibilità che qualche intervento maldestro in cui la punta esce improvvisamente dalla sede e le conseguenti “strisciate” su ponti e dischi data, quello è dato dalla perizia, o dalla mancanza di questa, del tecnico).
Dopo avere rimosso il disco dei giorni bisogna passare a quello della data, rimuovendo la platina che lo tiene in sede.
Per prima cosa è utile levare dalla sua sede la molletta (m) che regola la leva di fermo dei due dischi.
Nell’osservare la foto notiamo anche la ruota scatto data (sd) e la ruota per l’avanzamento rapido del datario (sr), entrambe composte parzailmente dn materiale sintetico.
I tre perni che fuoriescono dalla platina sono quello della sfera 24 ore (r 24), dei piccoli secondi continui (sc) e, quello più sfocato, delle ore cronografiche (co).
Dopo avere rimosso la platina abbiamo questa vista:
La platina trasparente dove alloggia anche il disco data è fissata alla platina principale per mezzo di 4 viti, che si vedono a circa ore 11, 3, 5 e 9.
Qui invece l’ingrandimento della ruota scatto datario, parte in ottone e parte in materiale plastico:
tenuta in sede da un perno fissato alla platina sottostante per interferenza:
La platina rimossa:
Andiamo a vedere cosa si trova sotto la platina:
La prima cosa che si nota è il posizionamento di tutto ciò che riguarda le funzioni cronografiche.
Nella stragrande maggioranza dei cronografi queste sono dalla parte opposta al quadrante, mentre qui le troviamo proprio sotto di esso.
Pro e contro? Maggiore accessibilità a molla e treno tempo, mentre ci sono evidenti impedimenti nell’eventualità che si debba tarare qualcosa per quanto riguarda il crono.
Va anche detto che c’è ben poco da tarare, sia perché si tratta di crono ad innesto verticale sia perché le varie leve sono costruite in modo che non si possa agire più di tanto in caso di regolazioni.
Passiamo ad esaminare il dettaglio di alcune componenti.
Inutile soffermarci troppo su quella che svolge le funzioni della ruota a colonne:
La ruota è composta da tre parti, le due ruote che comandano le varie funzioni ed il perno che fissa la ruota alla platina, per interferenza:
Il confronto con le ruote a colonne classiche non è del tutto corretto, in ogni caso anche qui si rileva la ricerca della funzionalità pura e semplice, non badando troppo a favorire le opzioni (viti) in caso di necessità di cambiare il pezzo, e tenendo ancora meno in considerazione le finiture.
Ora vediamo la leva di comando delle funzioni cronografiche che, come si nota, è la somma di tre componenti:
Qui il dettaglio del gancio e dalla molletta di del gancio disassemblati:
Anche in questo caso, osservando la costruzione un po’ tortuosa, e l’assemblaggio un po’ precario del tutto, notiamo una certa differenza concettuale ed estetica rispetto alle corrispondenti componenti che si trovano nel movimenti più classici e convenzionali.
Arriviamo al martello di azzeramento di contaore e contaminuti:
che è azionato dalla leva di comando in congiunzione per mezzo di un tenone (T) della leva che innesta nella sede (M) del martello.
Connessioni efficaci ma con giochi che non si vedono spesso in costruzioni orologiere.
Giriamo il movimento e ci troviamo a lavorare sulla massa oscillante.
Per la rimozione sblocchiamo la copiglia che impedisce alla massa oscillante di sfilarsi dal suo albero durante il normale funzionamento dell’orologio
Nell’immagine successiva la massa oscillante rimossa e girata: possiamo vedere come la trasmissione del moto e la carica della molla avvenga tramite la ruota R che, girando con la rotazione della massa oscillante, trasmette il moto alla ruota automatico.
La carica è unidirezionale, e l’avanzamento della ruota R è governato dalla molletta MC, solidale con la massa oscillante.
Sistema spartano ed efficace che elimina gli invertitori.
Tolta la massa oscillante vediamo nel dettaglio il ponte e la ruota dell’automatico:
Arriviamo ora alla molla.
Non ci sono ponti del bariletto, la platina è unica, il bariletto è tenuto in sede da un albero che passa attraverso tutto il bariletto, e rimane in sede grazie alla molletta alla sua estremità.
In questa foto il bariletto è in condizione operativa.
Sganciando la molletta:
si può procedere all’estrazione dell’albero:
E successivamente del bariletto:
Anche questo è un sistema indubbiamente semplice che facilita la rimozione del bariletto in caso di sostituzioni per rotture varie, ma anche in questo caso i giochi che porta questa soluzione sono relativamente alti, compensati dalle dimensioni generose delle componenti e dagli altrettanto generosi spazi tra le parti che rendono più difficili strusciamenti o contatti dati da usure causate dai giochi.
Per contro abbiamo dimensioni più grandi, cosa che nella produzione attuale non sarebbe poi così importante, viste le dimensioni medie degli orologi proposti al pubblico, ma che all’epoca della progettazione e sviluppo di quel movimento era un cruccio e, nei reparti progettazione di molte maison, motivo di studi per la realizzazione di altre tipologie di movimenti, che dovevano entrare in casse di misure più contenute.
Una volta levata la platina del ruotismo abbiamo la vista che segue:
Balzano per primi agli occhi i due componenti grigi, il supporto d’albero e l’appoggio del rotore, in materiale plastico.
Poi, partendo da destra vediamo il rocchetto di carica (RC) governato da una semplice molletta a filo (MF) e tenuto in sede dal copri rocchetto (CR), semplicemente appoggiato, che svolge il suo compito a platina montata.
A sinistra troviamo il mobile a innesto verticale (MI) e la bascula d’innesto (BI)
Al centro c’è il mobile del cronografo (MC) e la molletta a frizione (MF) di tale mobile, da regolare in maniera accurata in tensione e posizione, per evitare malfunzionamenti
( va detto che questo aspetto non è sempre curato da parte dei riparatori, forse a causa un non agevole raggiungimento di tale componente, e spesso movimenti che sembrano impossibili da far funzionare correttamente hanno semplicemente problemi in quella parte).
Il dettaglio della bascula d’innesto: anche qui si nota una certa essenzialità nella costruzione:
E il mobile ad innesto, un assemblaggio di materiali di diversa natura:
Uno sguardo anche al martello di azzeramento dei secondi cronografici, per il quale valgono le stesse considerazioni fatte per le componenti precedenti:
Tornando al lato quadrante del movimento, vediamo un’ultima componente: il rocchetto dei minuti.
Pur con il ponte ancora montato presenta un gioco molto evidente, poiché la sua stabilità si trova solo con la platina superiore montata.
Il gioco è abbastanza evidente in questo breve filmato:
Il rocchetto dopo avere smontato il ponte:
E il rocchetto completamente smontato dalla sede:
In definitiva, come già detto, le finiture in generale sono molto spartane, nulla è lavorato oltre al minimo indispensabile per far funzionare il tutto.
Ma in ogni caso, un buon movimento, affidabile, che ha dato prova di reggere anche prove a volte estreme, ma nato e vissuto con l’intento di essere un movimento che avesse meno necessità di manutenzioni, più facilità di lavorazione, lasciando da parrte ogni tipo di raffinatezza e probabilmente prevedendo anche minori durate. La parola “spartano” si può dire riassuma il tutto.
(Per "materiali sintetici" si intendono derlin, plexiglass, nylon)