Il 18 Ottobre 1996, il direttore dei Musei Civici di Venezia, Giandomenico Romanelli, ed il direttore generale di Piaget International, Francis Gouten, siglarono un accordo per il restauro dell'Orologio della Torre in Piazza San Marco a Venezia.
In verità l'Orologio funzionava, ma necessitava di una revisione generale.
Il progetto fu sponsorizzato dalla Maison Piaget che, secondo alcuni giornali, contribuì al restauro con circa 500 milioni.
Romanelli scelse uno storico, Giuseppe Brusa, per compiere il lavoro. Brusa si rivolse ad Alberto Gorla, un orologiaio specializzato in meccanismi da torre, per eseguire materialmente l'opera.
Stranamente, le autorità veneziane non diedero ad altri storici od orologiai l'opportunità di competere per l'assegnazione dei lavori.
E' la prima volta che ciò accade in 500 anni di storia dell'Orologio.
Romanelli affermò che Giuseppe Brusa fu referenziato dal British Museum, ma recentemente Brusa stesso ha negato tutto ciò. Il motivo della scelta non è ancora chiaro.
Fu formata una Commissione per il restauro. Durante una conferenza stampa tenutasi a Palazzo Ducale il 24 Gennaio 1997, il sig. Mossetto, allora responsabile per le attività culturali del Comune di Venezia, dichiarò che la Commissione includeva: Giuseppe Brusa (direttore), Alberto Peratoner (l'ultimo temperatore, il custode dell'Orologio) ed Alberto Gorla, scelti dal Comune, oltre a Gabriel Piaget e Francis Gouten, scelti da Piaget.
Sebbene Peratoner, che aveva la più lunga e diretta conoscenza dell'Orologio, fosse nominalmente impegnato nella Commissione, egli fu effettivamente lasciato ai margini di questo gruppo.
Più recentemente, in un comunicato stampa di Piaget e del Comune di Venezia, egli non fu incluso nella Commissione per il restauro.Il gruppo comprendeva Giuseppe Brusa, Alberto Gorla, Gabriel Piaget, Yves Piaget, Giandomenico Romanelli (Direttore dei Musei Civici Veneziani) e Daniela Andreozzi (Architetto dei Musei Civici Veneziani).
Le autorità veneziane e Piaget non hanno mai spiegato il motivo dell'esclusione di Alberto Peratoner.
Fu chiaramente documentato che il restauro doveva essere conservativo.
Com'è pratica comune dei moderni lavori di restauro, nessuna modifica od aggiunta al movimento era permessa tranne la previsione di un meccanismo automatico per la ricarica. In un'intervista, pubblicata nel 1988 sulla rivista "Orologi", Romanelli descriveva il temperatore come "un patrimonio umano e culturale difficile da rimpiazzare", ma l'introduzione del meccanismo di ricarica automatica avrebbe eliminato tale ruolo.
Recentemente Brusa lasciò intendere che Alberto Peratoner avrebbe iniziato una campagna contro il lavoro di restauro a causa della perdita del suo impiego nella Torre (il temperatore vive e lavora all'interno della Torre dell'Orologio, percependo per questo uno stipendio).
Abbiamo scritto nel nostro precedente articolo che
l'Orologio risale al 1757-1759. Fu profondamente modificato nel 1858-1860,
principalmente con l'aggiunta del sistema digitale dell'indicazione oraria.
Lo scappamento a riposo di Graham fu sostituito con uno scappamento a
caviglie ed il pendolo fu prolungato, portando le oscillazioni da 1828
a 1800 per ora, un pendolo da due secondi esatti.
Da allora l'Orologio fu solo revisionato periodicamente. Furono eseguiti
esclusivamente interventi minori e tutte le sue parti rimasero sempre
in funzione, tranne la suoneria dei 132 rintocchi, disattivata durante
la Prima Guerra Mondiale, a causa del coprifuoco. Brusa affermò
che questa smise di funzionare a causa del restauro del 1858, ma qualsiasi
Veneziano nato antecedentemente alla Prima Guerra Mondiale ricorda che
la suoneria era in funzione.
Disegno 1: il movimento prima del recente restauro come appare da un disegno di Piaget.
Brusa decise che l'intervento eseguito dal De Lucia
nel 1858 era dannoso per il magnifico meccanismo costruito nel 1757 da
Bartolomeo Ferracina. Stabilì che la situazione originaria del
1757 doveva essere ripristinata, anche se ciò comportava la sostituzione
di alcune parti del 1858 con pezzi costruiti ex-novo. Secondo lui, l'Orologio
era in condizioni talmente gravi che non avrebbe più potuto funzionare
senza attuare queste modifiche; solo le caratteristiche che il movimento
aveva nel 1757 avrebbero potuto garantirne l'affidabilità.
Vedremo più avanti nell'articolo che ciò è assai
difficile da sostenere. Quasi tutte le sostituzioni fatte non migliorano
le prestazioni dell'Orologio. Nessuno comunque si aspetta che un orologio
antico funzioni come un modello al quarzo, ma si pretende che sia il più
possibile inalterato rispetto alle condizioni originali. Invece di tentare
di riportare l'Orologio ad un parzialmente sconosciuto stato settecentesco,
si sarebbero dovute preservare le modifiche fatte nell''800. Il meccanismo
del 1858 aveva offerto 140 anni di funzionamento ininterrotto.
Ecco come Brusa e Gorla hanno eseguito il restauro. Hanno pulito e lucidato tutte le parti, applicato nuove boccole, rettificato i perni, sostituito le molle dei volani, ecc... ma hanno fatto anche molti altri interventi.
L'Orologio dopo il recente restauro. Cliccare sull'immagine per vederne una versione ingrandita.
Hanno sostituito il pendolo da 2 secondi (1800 oscillazioni per ora) del 1858 (lungo 4,15 m. con asta in legno a sezione ottagonale e lente in ottone lucidato con inciso "Luigi De Lucia") con un altro, da 2828 oscillazioni per ora (lungo 1,90 m. con asta in ferro e lente ottenuta da una fusione di metallo, con punzonato: "Alberto Gorla 1998"). Noi pensiamo che ciò sia scorretto non solo per l'aspetto conservativo, ma anche dal punto di vista storico
La lente del pendolo del 1858, firmata da De Lucia, che riflette l'ambiente nella stanza sotto al movimento.
La nuova lente del pendolo: non molto elegante, a nostro parere..
Il lettore si chiederà come Brusa potesse conoscere esattamente
la lunghezza del pendolo del 1757.
In effetti, c'è un libro che descrive
l'Orologio com'era nel XVIII secolo: Relazione storico-critica della Torre dell'Orologio
di S. Marco in Venezia di Nicolò Erizzo. Vi è chiaramente indicato
che il pendolo effettuava 1828 oscillazioni per ora.
Brusa ritiene che questo
sia un errore tipografico e che esso significhi in realtà 2828 oscillazioni
per ora. Egli sostiene non essere logico che De Lucia, nel 1858, abbia deciso
di affrontare lo sforzo della costruzione di un nuovo scappamento per allungare
l'asta del pendolo solo di pochi centimetri, per portarla da 1828 a 1800 oscillazioni
per ora.
Conclude che la lunghezza dell'asta debba essere stata modificata per
impiegare un pendolo molto più lungo. La logica di questo ragionamento
non è chiara. Inoltre, Brusa adotta un pendolo da 2600 oscillazioni per
ora (1,90 m. di lunghezza) e non da 2828 oscillazioni per ora (1,61 m. di lunghezza),
come sarebbe stato logico aspettarsi ammettendo il presunto errore tipografico
nel libro dell'Erizzo.
Lo scappamento fu convertito dal tipo a riposo di Graham al tipo a caviglie,
sostituendolo integralmente; sarebbe stato così possibile adottare qualunque
lunghezza dell'asta del pendolo senza ulteriori complicazioni. Sembra più
verosimile che, come indicato dalle fonti storiche, l'Orologio avesse già
un pendolo molto lungo che fu semplicemente modificato per ottenere una frequenza
di funzionamento più ortodossa.
C'è un'altra fonte storica che conferma quanto sia sbagliata questa scelta.
Nel nostro precedente articolo, abbiamo spiegato che il pendolo da due secondi
del 1857 passava attraverso un foro praticato sul pavimento della stanza dell'Orologio;
il pendolo da 1,90 m. che Brusa sostiene fosse applicato nel 1757 non avrebbe
avuto bisogno di tale foro.
Di conseguenza, la perforazione si sarebbe dovuta
fare in occasione del restauro del De Lucia, del 1857. Sebastiano Cadel, però,
scrisse per il Comune di Venezia un dettagliato rapporto sui lavori fatti all'edificio
in quel periodo. In questo documento non c'è alcun riferimento alla necessità
di praticare un foro sul pavimento della stanza. Ciò suggerisce che il
foro esistesse fin dall'epoca del Ferracina e che quindi già il suo pendolo
fosse lungo circa 4 metri.
Brusa e Gorla hanno spostato il punto di sospensione del pendolo dal lato del treno del tempo a quello della suoneria dei 132 rintocchi.
Ciò vuol dire dal lato opposto della struttura.
E' stato necessario costruire un prolungamento dell'albero che trasmette il moto dall'àncora alla forchetta, ora molto lontana dallo scappamento.
Il motivo che i restauratori hanno addotto per giustificare questa modifica è la presenza di quattro fori allineati sulla struttura dell'Orologio, attraverso i quali l'albero può passare.
Brusa e Gorla sostengono che essi sono sufficienti a dimostrare che, nel 1757, il pendolo si trovava sul lato opposto al treno del tempo.
Può anche essere vero, ma qualsiasi orologiaio trova spesso dei fori inutilizzati negli orologi antichi e, senza ulteriori e chiare indicazioni, ciò non può legittimare la costruzione di nuovi pezzi per adattarveli.
La sistemazione del nuovo lunghissimo albero dell'àncora ha richiesto l'innalzamento del meccanismo dei 5 minuti (3, sul disegno 1).
A questo scopo è stata creata una struttura in acciaio e possiamo affermare che essa non segue per nulla lo stile dell'epoca.
È costruita utilizzando dei normali tubi a sezione quadrata che si possono trovare in qualsiasi magazzino di ferramenta.
La struttura principale del meccanismo, invece, è splendidamente costruita in ferro forgiato.
Brusa e Gorla hanno ripetutamente affermato che: "I metodi ed i materiali usati per il restauro sono stati gli stessi consolidati dalla più antica tradizione in fatto di orologi da edificio realizzati in ferro".
La nuova sospensione è del tipo a lamina metallica, mentre quella del 1858 era a cuneo. Brusa e Gorla non motivano questa scelta e mancano fonti, che noi sappiamo, dove si possa accertare che la sospensione del 1757 fosse del tipo a lamina, anche se il principio del restauro conservativo è ancora trascurato con una sostituzione inutile.
Il nuovo punto dove la sospensione è fissata
è esattamente al centro dell'Orologio. Prima del recente restauro
questo era posto lateralmente. L'asta del pendolo era connessa allo scappamento
mediante una barra orizzontale (6, nel disegno 1), come comunemente si
trova negli orologi chiamati Morbier. Ciò evitava interferenze
con l'albero che trasmette il moto verso il quadrante principale, che
si prolunga dal centro del movimento (8, nel disegno 1).
Gorla ha piazzato il nuovo pendolo dalla parte opposta del meccanismo,
ma anche qui l'albero del quadrante secondario si estende dal centro.
Il problema è stato risolto costruendo un'asta del pendolo divaricata,
che incornicia l'albero e lo fa passare attraverso se stessa.
In questa foto è stato rimosso l'albero del quadrante secondario che passerà attraverso la nuova asta del pendolo divaricata. L'albero sarà fissato alle tre viti a passo metrico d'acciaio che si vedono sul mozzo della ruota brunita. Da notare la finitura grossolana dei fori tappati.
E' difficile immaginare che un grande orologiaio come Ferracina potesse concepire una soluzione così complicata quando costruì l'Orologio. Non ci sono ovviamente memorie storiche di un pendolo simile a questo, ma ancora una volta Brusa e Gorla, di fronte ad una situazione dubbia, non hanno deciso di lasciare le cose come stavano, nell'ottica di un restauro conservativo, ma di cambiarle, anche se non sapevano esattamente in che modo farlo.
Un disegno preso da una relazione tecnica di Annibale Marini (tecnico orologiaio) e Giovanni Doria (temperatore) scritta per il Comune di Venezia il 22 Luglio 1856, quindi prima del restauro del De Lucia, indica che questa è una costruzione illogica. La relazione descrive l'Orologio ed i lavori necessari per ripararlo. Uno schizzo mostra la barra orizzontale di connessione del pendolo ed il testo enuncia che è richiesta "la riformazione del braccio di leva trasversale, che mette in comunicazione l'Asta del tempo, per poterlo levare e pulire quando occorre, essendo l'esistente stabile, quindi impossibile la precisione del movimento". Brusa afferma che questo è semplicemente un progetto, un suggerimento, perché nel disegno la barra è posta verso sinistra invece che a destra, come nella realtà. Non si può però escludere che il disegno sia stato fatto da un punto di vista diverso rispetto a quello frontale.
Lo schizzo di A. Marini e G. Doria che mostra il collegamento orizzontale al pendolo, impiegato nel movimento già prima del 1858.
E' possibile che un pendolo del 1757 avesse delle viti di regolazione metriche od impiegasse barre di acciaio laminato a sezione quadrata per la sua struttura, come si trova nella riproduzione di Gorla?
Dettaglio della vite per la regolazione fine del tempo per il nuovo pendolo.
Dettaglio del congegno per la regolazione dell'isocronismo del nuovo pendolo.
La modifica della frequenza di funzionamento del nuovo pendolo ha richiesto la ricostruzione dello scappamento; i restauratori hanno sostituito l'àncora e la ruota a caviglie con due pezzi nuovi. Hanno mantenuto lo scappamento di tipo a caviglie, sebbene sostenessero di voler riportare il movimento nelle condizioni del 1757. In quell'epoca, infatti, lo scappamento era del tipo a riposo di Graham. Inoltre, per i fissare le caviglie della ruota, hanno usato dadi esagonali ciechi in acciaio inossidabile.
La nuova ruota di scappamento, con le caviglie fissate da dadi esagonali ciechi in acciaio inox.
Brusa e Gorla hanno modificato il sistema con cui è
attivato il meccanismo dei 5 minuti che comanda le tàmbure per l'indicazione
digitale dell'ora.
Nel movimento del 1858 l'albero di scappamento aveva innestata una piccola ruota
connessa ad un'altra ruota che, mediante due perni ad essa fissati, azionava
una leva connessa al treno dei 5 minuti. Certamente non una soluzione ideale,
ma che non era mai stata fonte di problemi per il corretto funzionamento dell'Orologio.
Durante i lavori è stata aggiunta una serie di leve completamente nuove,
fatte per attivare il meccanismo da una ruota posta più in basso nel
treno del tempo. Tutto ciò era realmente necessario in un restauro conservativo?
Il meccanismo astronomico del XVIII secolo è stato
modificato con lo scopo di facilitare le correzioni al normale sfasamento fra
le reali posizioni del Sole e della Luna rispetto a quelle indicate sul quadrante.
Questa poteva essere una buona idea, se non fosse stata realizzata trapanando
il mozzo delle ruote originali del Ferracina. Brusa affermò che il lavoro
del 1757 era eccellente, ma in questo caso egli lo ha danneggiato per ottenere
un risultato che non era richiesto dallo scopo del restauro.
Un leggero accumulo di errore (peraltro sempre corretto a mano dai temperatori
nel passato) nelle indicazioni astronomiche di un meccanismo del XVIII secolo
è ritenuto perfettamente accettabile. Ancora una volta bulloni in ferro
zincato con teste stampate sono stati usati diffusamente.
Tutto questo dovrebbe essere abbastanza per censurare il restauro, ma c'è molto di più. Abbiamo visitato il meccanismo, ora esposto al pubblico in Palazzo Ducale a Venezia e l'impressione che abbiamo avuto da questo è stata semplicemente orribile. Il lavoro non è condannabile solo dal punto di vista storico ma anche da quello tecnico. L'uso di dadi ciechi in acciaio inossidabile o di dadi e bulloni esagonali zincati a filettatura metrica in un movimento del XVIII secolo è semplicemente inaccettabile. Abbiamo anche potuto vedere sul mozzo di una ruota alcuni fori tappati perché eseguiti in posizioni sbagliate. John Wilding afferma che non è necessario eliminare una ruota se il foro errato viene tappato e la superficie è rifinita in modo tale da nasconderlo alla vista, prima di rifarlo nella corretta posizione. Gorla ha tappato i fori, ma si è limitato a molare grossolanamente il materiale in eccesso senza alcun riguardo per la finitura brunita della ruota. Il risultato è che i fori praticati erroneamente sono chiaramente visibili sulla superficie scura che li circonda. Sul pendolo stesso, sia per la regolazione fine del tempo che dell'isocronismo, troviamo delle barre filettate metriche. Erano forse in uso nel pendolo del XVIII secolo che Brusa e Gorla volevano riprodurre? Su tutto l'Orologio ci sono segni di molature. Il livello di finitura è più consono ad un moderno meccanismo industriale che ad un orologio antico. Bulloni e dadi esagonali facilmente reperibili in negozi di ferramenta sono stati largamente impiegati, come si vede in queste foto:
Le leve create appositamente per il nuovo meccanismo di attivazione della suoneria dei 132 colpi. Due perni sulle razze della ruota alzano la leva obliqua di avviamento della suoneria a mezzogiorno e mezzanotte. Da notare i segni di molatura.
Era troppo difficile oppure costoso farli su un piccolo tornio
con le stesse proporzioni e gli stessi materiali usati per quelli originali?
Le viti zincate sono semplicemente antiestetiche su di un orologio, per non
parlare di un meccanismo del XVIII secolo.
Abbiamo visto solo un paio di viti che sembrano costruite appositamente per
il meccanismo: esse erano facilmente distinguibili dalle originali perché
gli intagli non erano altrettanto accurati.
Erano chiaramente eseguiti con la lama di un seghetto a mano e non con una fresa.
Tutte le parti dell'Orologio al momento dello smontaggio sono state punzonate
con un pesante martello per essere identificate. Tutto ciò era veramente
necessario? Perché aggiungere altre tracce del XX secolo sul meccanismo?
Alcuni schizzi e foto della struttura avrebbero svolto la stessa funzione.
Dobbiamo ricordare che Brusa e Gorla sono molto conosciuti in Italia, rispettivamente come il più eminente storico dell'orologeria e come uno specialista in orologi da torre. Alberto Gorla ha restaurato diversi importanti orologi monumentali in tutto il Paese. Non avevamo mai esaminato altri suoi lavori prima d'ora. Siamo rimasti attoniti quando abbiamo visto per la prima volta i risultati del suo intervento sull'Orologio di S. Marco. Non avremmo mai immaginato che un rinomato orologiaio fosse capace di un fallimento del genere. Da quel momento abbiamo chiesto ad alcuni colleghi se fossero a conoscenza di altri esempi del suo lavoro. Abbiamo trovato alcuni orologiai che hanno confermato che egli normalmente opera in tal modo. Questo non è un caso unico. Non è piacevole definire il lavoro di un collega come scorretto. Normalmente non dovrebbe succedere. In questo caso ciò può gettare dei dubbi sulle reali capacità di tutti gli orologiai italiani.
Una ruota di carica usurata non restaurata.
Abbiamo ripetutamente chiesto a Giuseppe Brusa di
farci avere una descrizione tecnica del lavoro svolto sull'Orologio. La
Torre è una proprietà pubblica e, secondo la legge, il restauro
dovrebbe essere accompagnato da un rapporto dettagliato del lavoro svolto,
liberamente disponibile. Esso deve includere le ragioni che hanno motivato
ogni intervento.
Nessun rapporto è mai stato fornito e non ci stupiremmo se non esistesse
affatto.
Tutto ciò che abbiamo trovato sul sito dei Musei
Civici Veneziani è una fiacca replica di Brusa ad Alberto Peratoner,
il primo a denunciare cos'è stato fatto all'Orologio, assolutamente
insufficiente per documentare i lavori.
Esempi di come si dovrebbero illustrare interventi del genere si torvano qui: Wagner Page.
Brusa sostiene che Piaget ha approvato incondizionatamente il suo lavoro.
Noi speriamo, in tutta sincerità, che la Maison non lo abbia esaminato
con attenzione, oppure che non abbia proprio espresso tale opinione.
E' da notare che nel sito c'è una foto di una ruota molto usurata,
pubblicata per rappresentare le pessime condizioni in cui si trovava l'Orologio
prima del restauro.
La ruota (assieme ad altre tre uguali ad essa), non
è stata restaurata. Fa parte del gruppo di quattro ruote di carica
che non dovrebbero più essere usate grazie al sistema elettrico escogitato
da Gorla per ricaricare l'Orologio.
Ci può essere forse uno sviluppo positivo in questa deplorevole storia.
Il direttore dei Musei Civici, Giandomenico Romanelli, affermò che
ogni parte sostituita dell'Orologio sarebbe stata conservata. Se così
fosse, l'Orologio potrebbe essere riportato quasi completamente allo stato
in cui era nel 1857.
La Torre dell'Orologio è in pessime condizioni e necessita di importanti
lavori di restauro che non sono ancora iniziati.
Nel frattempo, il meccanismo
dell'Orologio rimane esposto a Palazzo Ducale. E' un'occasione per una visita
molto interessante per il turista appassionato di orologeria. Poiché
l'Orologio non è ancora stato rimontato nella sua sede, speriamo
sia più facile trovare rimedio alle ingiurie che ha dovuto subire
negli ultimissimi anni della sua semi-millenaria esistenza. Le autorità
veneziane e Piaget non possono lasciare inalterata questa situazione.
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